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Another end of the world is possible
Julieta Aranda, Elizabeth Povinelli / Karrabing Film Collective
Mercoledì 25 Maggio 2022 (dalle ore 18.00 alle ore 21.00), Prometeo Gallery Ida Pisani – via Ventura 6, Milano, inaugura la mostra di Julieta Aranda, Elizabeth Povinelli / Karrabing Film Collective Another end of the world is possible, con testo di Chus Martínez.
Attraverso una narrazione atta a tenerci dentro al problema - per citare Donna Haraway - la mostra esplora il lavoro di Julieta Aranda, Elizabeth Povinelli e Karrabing Film Collective. In Another end of the world is possible, Julieta Aranda (Città del Messico, 1975) prende spunto ed intreccia il suo lavoro con quello di Elizabeth Povinelli (Buffalo, 1962), pensatrice e amica, antropologa e artista che sostiene e dà voce ad un'antropologia dell'altrimenti affermatasi nel gruppo aborigeno, da lei fondato, Karrabing Film Collective. Julieta ed Elizabeth si cimentano in uno studio sull'infatuazione del tempo per la creazione di un'immagine della sua stessa indicizzazione - a partire dalla camera oscura di Aranda: come clessidre che scorrono verso l'alto, come la Terra stessa vista come un orologio!
Povinelli esplora le sedimentazioni, le compressioni e le incommensurabilità di memorie, corpi, referenzialità come mondi sociali mossi e spinti nelle infrastrutture del tempo coloniale e razziale. Con una selezione di disegni originali e nuove composizioni tratte dal suo saggio visuale, The Inheritance (Duke, 2021), e un inquietante remix cinematografico dello stesso con il suo collaboratore, Thomas Bartlett, Povinelli traccia le deformazioni di significato presenti nelle storie dei suoi nonni trentini e la loro decomposizione nel passaggio agli spazi razziali e coloniali e degli Stati Uniti, dove il tempo liberale e progressivo le trasforma in campi di detriti di incarnazioni incommensurate, e stratificate tracce sonore compresse.
In The Family and the Zombie (Karrabing Film Collective), segue un gruppo di futuri antenati che vivono tra i resti dell'attuale crisi ecologica. Alternando il tempo contemporaneo, in cui i membri dei Karrabing lottano per mantenere i loro legami fisici, etici e cerimoniali con le loro remote terre ancestrali, e un futuro popolato da esseri ancestrali che vivono all'indomani del capitalismo tossico e degli zombie bianchi, The Family and the Zombie rifiuta l'orologio coloniale in cui il passato è sepolto nel dominio inesorabile del futuro. Chiede agli spettatori di riflettere sulle pratiche del presente come detriti materiali su cui cammineranno molteplici futuri ancestrali.
L'esperienza del collasso del tempo imperiale umano al suo confine terrestre è stata oggetto di molte opere di Julieta Aranda, a partire da “You had no ninth of May!" del 2009, fino ad arrivare ai giorni nostri con il film e i fotogrammi “If you tell the story well, it will not have been a comedy”, e alla serie di immagini e oggetti “Another end of the world is possible", che dà il nome a questa mostra. Questo continuo esercizio di descrizione di un caso che incarna in modo particolare il potere e le sue assurdità, unito alla creazione di pezzi - nodi - realizzati con i resti di reti fantasma che sono state sputate dal mare come detriti galleggianti, e che l'artista ha raccolto negli ultimi dieci anni, presenta modi dinamici e semplici di allontanarsi da questo realismo crudo. Per la serie “The knot is not the rope", i nodi e i pezzi di corda spezzati sono visti da Aranda come proposizioni calligrafiche, presentate come articolazioni "scritte" del loro fallimento, in un linguaggio che non è del tutto leggibile, forse a causa dei nostri limiti come lettori, o a causa dei limiti del linguaggio stesso.
Un altro modo in cui Aranda guarda al tempo è attraverso il suo interesse per i cicli intergenerazionali della vita. Le immagini di ossa, i processi di decomposizione e i resti scheletrici sono fondamentali nella sua pratica, come modo per affrontare sia le nozioni di infrastruttura, sia le tecnologie della vita che supportano altre idee di tempo, altre vite - future. Le ossa servono come piattaforma fertile per introdurre la materia dopo i linguaggi più formali e concettuali della fotografia e del cinema. Gli oggetti discutono nel loro modo proprio e sottile con il tempo, ricordandoci le molteplici ortodossie che la biologia - le nostre stesse determinazioni temporali - ma anche lo spazio ci impongono.
Le opere in mostra fanno vagare le menti come se eseguissero movimenti di camera e co-creassero con noi, con le nostre presenze e immaginazioni, una composizione collettiva eccessivamente comunitaria e quasi coreografica in grado di produrre contro-narrazioni, sogni differenti da quelli delle macchine del tempo moderne. Diventiamo allora una nuova generazione. Oltrepassiamo una "linea" e riappare qualcosa a lungo sommerso: i milioni di culture dialettali e indigene della durata e della vita.