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Prigione N°5
Zehra Doğan
inaugurazione 27.10.2021 alle 18.00-21.00
28.10 - 08.03.2021
testi critici di Elettra Stamboulis e Rischa Paterlini
PROMETEO GALLERY Ida Pisani
Via G. Ventura 6 - Milano
Mercoledì 27 ottobre 2021 (dalle ore 18.00 alle 21.00), nei due spazi di Prometeo Gallery Ida Pisani (via Ventura 6, Milano), inaugura la mostra dal titolo Prigione N°5 di Zehra Doğan (Diyarbakır, 1989), a un anno dalla prima personale dell’artista curda in una galleria italiana.
La prigione n. 5, quella di Diyarbakir nel Kurdistan turco, è tristemente famosa. Considerata un buco, un tunnel, un girone infernale, è un luogo di detenzione che nei decenni ha mobilitato senza esito le organizzazioni dei diritti umani. Ed è una prigione in cui Zehra Doğan ha trascorso parte della sua detenzione, 2 anni nove mesi e 8 giorni, scontati interamente, per avere postato su Twitter un disegno.
Nella lunga trafila che segue agli incarceramenti per reati d'opinione in Turchia, Zehra non ha però mai smesso di dipingere, disegnare, scrivere. Ha usato le sue mani per fare opera di resistenza politica, culturale e artistica. E ha utilizzato la fitta rete di relazioni di attiviste per poter poter far uscire i propri lavori, realizzati illegalmente con qualsiasi materiale a disposizione, anche il sangue mestruale suo e delle compagne, fuori dal carcere. Perché l'obiettivo della carcerazione per reati d'opinione è silenziare le voci, toglierti dagli sguardi degli altri, far dimenticare il tuo volto.
Le immagini che raccontano in tempo reale, realizzate dietro le sbarre e che sono già state esposte ad esempio alla Biennale di Berlino, sono la materia prima di questa reinterpretazione che riprende gli originali realizzati in carcere cambiando loro formato. La mostra alla Prometeo Gallery vuole essere una lente di ingrandimento sui corpi e le storie delle donne ancora detenute nella prigione n. 5.
Le opere inedite esposte nelle due sedi della galleria sono ispirate a quel periodo, alla solidarietà con le compagne detenute, alle privazioni, ma anche al coraggio di quelle donne, alcune delle quali madri di bambini cresciuti in carcere.
Le opere sono state realizzate su tappeti, tele, giornali e mappe curde, con l’utilizzo di fluidi organici e miscele naturali: gli stessi che Zehra Doğan aveva a disposizione in carcere, insieme alla penna BIC, unico strumento di scrittura concessole da detenuta.
L’artista, con l’espediente di disegnare sul retro delle lettere che era autorizzata a ricevere e a rispedire, ha potuto far uscire dalla sua cella alcuni disegni, confluiti nel Graphic Memoir Prigione N°5 (edito da Becco Giallo nel 2021) e di recente esposti al PAC di Milano.
«Qui abbiamo il “privilegio” di entrare nelle celle della prigione 5 – scrive Elettra Stamboulis nella prefazione del libro –, e in quella di Tarso, nel momento in cui Zehra disegna e scrive. Siamo di fronte a un documento storico oltre che artistico».
Ora l’artista ha finalmente modo, come lei stessa ha dichiarato, di ripercorrere quel periodo senza costrizioni o limitazioni, esprimendosi in grandi formati e con diversi materiali a sua disposizione. Un’esperienza fondamentale e catartica per non dimenticare quella cella «dove mi sento così piccola» –scrisse Zehra–, ma nel contempo per superarla e sentirsi davvero libera.
Bio
Dallo scorso settembre 2020 Zehra Doğan – curda con passaporto turco –, ha conseguito numerosi riconoscimenti, tra cui: “Premio Ipazia dell’Eccellenza al Femminile - Sezione Internazionale” (2020) a Genova, “Primo Premio Carol Rama” (2020) a Torino, è stata inserita nella “Power 100” di Art Review tra le 100 personalità più influenti del mondo dell’arte contemporanea, ed è entrata a far parte della Taguchi Art Collection in Giappone. Nel settembre 2020 Zehra ha partecipato alla Biennale di Berlino, e un anno dopo, nella capitale tedesca, ha esposto al Maxim Gorki Theater.
I media e le case editrici si sono letteralmente “contesi” la sua storia. Per aver diffuso notizie sulle ingiustizie subite dal popolo curdo, infatti, nel 2016 Doğan è stata accusata di propaganda terroristica in seguito all'emanazione delle leggi speciali in Turchia. di conseguenza è stata arrestata e condannata a 2 anni, 9 mesi e 22 giorni di prigionia.
Senza mai arrendersi, Zehra ha continuato a produrre opere all’interno del carcere e far parlare del proprio caso. Il mondo della cultura, infatti –e non solo–, si è ribellato alla sua incarcerazione e l’ha supportata: dalle associazioni per la tutela dei diritti umani, English Pen e Amnesty International, ai noti artisti Ai Weiwei e Banksy (autore di un murale dedicato a lei a NewYork); dalla Tate Modern di Londra, al Drawing Center di New York e, in Italia, al Museo di Santa Giulia a Brescia e al PAC di Milano, che hanno esposto le sue opere per farle conoscere al mondo.