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EL GRITO DE LA VERDAD
Zehra Dogan | Regina José Galindo
EL GRITO DE LA VERDAD
Zehra Dogan | Regina José Galindo
Opening 5.07.2021 h 20.30
mostra dal 06.07 al 14.07.2021
Cruce arte y pensamiento | Calle Doctor Fourquet 5 , madrid
Zehra Doğan e Regina José Galindo si occupano di vite vissute che devono essere conosciute, riconosciute, salvate dall’oblio, per fungere da monito ad altre vite.
La prima artista, giornalista e attivista, è di origine curda. Poco più che trentenne, Zehra è divenuta portavoce del suo popolo e anche di quello armeno, le cui donne -tra cui sua nonna- sono state vendute come schiave, convertite forzosamente all’Islam e rese vittime di violenze inimmaginabili durante il genocidio del 1915-16.
Nella maglie della grande Storia, infatti, che ha da poco riconosciuto la deportazione e uccisione di 1,5 milioni di persone ad opera dell’Impero Ottomano, restano impigliate le piccole grandi storie di Fatma, Hawê, Xanê, donne private persino del loro nome, ma che hanno lasciato un segno, una testimonianza, un esempio di coraggio. Mentre papa Francesco nel centenario della strage, Obama e il congresso USA nel 2019, hanno ufficialmente preso posizione su quei fatti, definendo quello armeno come “il primo genocidio del XX secolo”, nella Turchia di Zehra vige ancora sul tema un paludato negazionismo, avallato dal presidente Erdoğan. Per questo ancor più assordante risuona il grido delle donne evocate dalla Doğan, che, prima di ridursi al silenzio, di lasciarsi sopraffare dai dogmi imposti per sradicarne le radici -o addirittura di togliersi la vita-, hanno svelato a qualcuno i propri traumi. Traumi che Zehra ha trasformato in opere, sotto forma di bambole appese al soffitto, circondate da video e tele che completano l’affresco su queste storie da eternare. “Gli armeni sono stati l'antipasto, i curdi saranno il piatto forte”, ripeteva spesso la nonna di Zehra, la cui storia rivive attraverso le parole della madre dell’artista che riecheggiano nell’installazione multimediale esposta a Madrid.
Le anime di altre donne, insieme alle loro storie tragiche, ma in fondo “invictae”, non sconfitte, sono riportate alla luce da Regina José Galindo, durante le sue performance più recenti. Aparición (2020), Nuestra mayor venganza es star vivas (2021), El canto se hizo grito (2021), sono alcune delle opere realizzate dall’artista guatemalteca, vincitrice nel 2021 dell’ambito premio “Robert Rauschenberg”. Sono lavori realizzati a Las Palmas (Gran Canaria), a Milano e a Berlino, con l’idea comune di erigere monumenti temporanei a donne vittime di femminicidio, spesso per mano del proprio
partner o ex-partner. Queste figure sono evocate attraverso la presenza fisica di performer coperte da mantelli, che le rendono simili a spiriti evanescenti, ma che fanno sentire la propria voce assordante, leggiadra come un canto, potente come un grido, reso peculiare a seconda delle tradizioni del luogo dove si svolge l’azione. Il silenzio può essere dunque rotto dal suono delle nacchere che “toccano” le partecipanti, in numero uguale, 37, alle donne statisticamente uccise nelle Baleari dall’inizio dell’anno al giugno 2021, oppure da un’aria della Boheme in Italia, grazie alla voce di performer soprano. “La nostra maggiore vendetta -dal titolo di uno dei cicli di Galindo esposti- è restare vive”, per suonare, cantare, gridare la propria denuncia.