Art Basel Miami Beach OVR
Prometeo gallery si contraddistingue da sempre come un catalizzatore delle istanze sociali e politiche di artisti visivi multimediali.
Quest’anno protagoniste sono due donne, attive per la difesa dei diritti civili basilari in due “periferie” del mondo: la guatemalteca Regina José Galindo e la curda Zehra Dogan.Zehra e Regina provengono da generazioni e luoghi diversi, il Guatemala e la Turchia, si esprimono con mezzi distinti, come la pittura, la foto e il video di performance, ma vengono associate nel progetto di Prometeo Gallery in quanto oppositrici di ogni forma di violenza, talvolta persino legittimata dalle autorità e da ingerenze religiose.
Le opere presentate ad ABMB sono monumenti a donne soggiogate fino a venire uccise dal potere o, in una forse ancor più tragica circostanza, dal proprio partner tra le mura domestiche.
Così ad esempio Zehra, artista curda di 31 anni, di cui quasi tre passati in carcere in Turchia per un dipinto, traccia a colori e foglia d’oro su un tappeto persiano la sagoma di due figure che trasmettono un senso di “Unità” (il titolo dell’opera è Unity) seppur in un paese disgregato come il Kurdistan.
Un femminicidio, il 34esimo dal primo gennaio ad oggi in Spagna, ha invece ispirato l’opera di Regina José Galindo Detrás de la Ventana (2020). Una donna guatemalteca (e quindi compatriota di Galindo), Nancy Paola, è stata uccisa e smembrata dalla sua compagna tra ben poco rassicuranti mura domestiche. Da qui il titolo scelto dall’artista Galindo: Dietro la finestra, da intendere come quella della propria casa. Per questo le 34 donne immobili davanti alla cattedrale di Salamanca, ritratte dalla Galindo in un performance che la pandemia ha reso remota, hanno i corpi coperti da tende colorate, che le rendono uniche e in qualche modo le celebrano, come spiriti a cui dedicare un monumento performativo nel patio di un luogo di preghiera.
Mentre dunque Galindo istituisce un monumento vivente per ricordare il sacrificio di donne anonime e altrimenti dimenticate, come “scarti” marginali, danni collaterali di una società violenta come quella guatemalteca, la Doğan non solo celebra le donne “martiri” del suo popolo curdo, ma nobilita materiali organici femminili percepiti come rifiuti, ovvero sangue mestruale e urina, utilizzandoli per le sue tele Red Army in my Pants (2020) e Reach (2020).